Cinque T da indossare
by Claudio Spuri • 18 Dicembre 2010 • Design e Comunicazione, Marchi e Produzione, Moda • 8 Comments
Una lettera per cinque caratteri. Tra le numerose produzioni di T-shirt, ho trovato molto interessante questa di Masashi Kawamura.
La lettera “T” per una t-shirt è imprescindibile per la propria identità perché senza, una t-shirt diventerebbe, almeno dal punto di vista del termine anglosassone, una semplice camicia.
Altro aspetto irrinunciabile per una t-shirt è il rapporto con il corpo e con il carattere di chi la indossa, Parole quest’ultime che, come dice lo stesso designer, si usano abitualmente in ambito tipografico dove proprio la forma di una lettera è determinante per la comunicazione di un messaggio.
Tutto questo lo sa bene Kawamura che al parallelismo tra carattere umano e tipografico nonché alle loro infinite personalità, ha dedicato la sua originale collezione di magliette, dove il contenuto stavolta non è in una immagine o in una scritta ma nella forma stessa.
Ecco perché cinque caratteri diventano cinque t-shirt.
Io pubblico la Cooper Black, le altre sono qui.
Grazie ad Hoxeheome per la segnalazione. 😀
ma com'e' questa ondata creativa sul sol levante? La creativita' giapponese fiorisce come il loto…
In effetti me lo sono chiesto anche io, ma non ti so dare una risposta precisa. Sarà forse un caso, ma è anche vero che molte interessanti iniziative di design e comunicazione provengono dalla cultura giapponese, capace come poche di arricchirsi attraverso il confronto con l'esterno.
Tradizione, metodo, cura e creatività fanno il resto.
Anche perche' la scelta della lettera t rimanda a quella greca tau e quindi ad un'idea francescana minimalista, che comunque conserva sobrieta' ed eleganza con il suo nero inchiostro invece che color legno.
Inoltre la posa dinamica delle modelle si sposa con la staticita' di questa lettera come nelle antiche lettere.
Un'analisi interessante!
accidenti!complimenti per l’analisi. Anche se a volte dietro un’idea non c’è nessuna analisi (purtroppo per chi ha studiato succede e neanche tanto raramente!). Magari è andata così:”Ao(tipica esclamazione nupponica)!Ma se prendemo ‘na lettera e ne famo un vestito?secondo me può funzionà!”
scherzi a parte, trovo che quando abbiamo stressato al massimo un concetto tocca fare come i bambini che guardano il contenitore e non il contenuto (nozionistico) che è frutto della cultura, esperienza ed educazione. Quindi riprendere la forma e spogliarla di ciò che si conosce di esso, prenderne solo “la pelle” e integrarla in un nuovo contesto. Giocando non solo con la sua funzionalità, ma anche sul suo orientamento, utilizzo.
Non è molto diverso da quello che si può vedere in canali come RaiYoYo, dove si insegna ai bambini a prendere oggetti di uso comune e farne tutt’altro.
Non ho capito se ti piace o meno questo progetto! 🙂
Secondo me è interessante vedere come le linee dovute alla forma dei caratteri si adattano al corpo.
Interagire con la fantasia e l’assoluta autonomia di pensiero dei bambini è una delle scuole migliori.
mi piace,mi piace!è solo che nn sempre l’idea bella,funzionale o interessante è frutto di una elaborata analisi. Dico che a volte (ed è quello che a me colpisce e fa anche un pò male) l’idea che funziona può essere il risultato di una veloce intuizione e perspicacia!questione di un’attimo e voilà:idea pret-a-porter!
L’intuizione è un grande strumento a disposizione di tutti. L’attimo di cui parli in realtà fa parte di un processo progettuale. Se parliamo di metodo e consideriamo, come diceva per esempio Munari, una parte di analisi dei vincoli e del contesto, l’idea che arriverà non sarà mai improvvisata.
A questo proposito, Poincaré (fisico e matematico) già all’inizio del secolo scorso scriveva questo: “Quel che più lascia colpiti è il fenomeno di queste improvvise illuminazioni, segno manifesto di un lungo lavoro inconscio precedente […]
Le ispirazioni improvvise […] non avvengono mai se non dopo alcuni giorni di sforzi volontari, che sono sembrati completamente infruttuosi.”