• Tradizione e cultura pop in versione maglietta

    by  • 18 Dicembre 2015 • Arte, Interviste, Marchi e Produzione • 2 Comments

    Intervista a a Ivan Pibiri di Tziarùa. La tradizione della Sardegna, nelle parole e nel legame quotidiano con il suo territorio e le sue persone; la cultura pop nell’iconografia della produzione di massa, diventata arte e rappresentazione della sua stessa epoca. Il risultato è uno strano mix colorato, originale e, a volte, piacevolmente incomprensibile.


    Fotografia di Matteo Cefaloni
     
    Ciao Ivan benvenuto sul Tatuaggio di Stoffa. Giuro che mi sono documentato ma te lo devo chiedere ugualmente: come nascono il nome e il progetto Tziarùa?

    Ciao Claudio, il progetto nasce in maniera molto poco poetica: nella vita “borghese” faccio un lavoro che di creativo non ha nulla e ho cercato una strada per esprimere la mia fantasia in modo da avere pieno controllo delle mie creazioni. Per quanto riguarda il nome ho pensato da subito a una parola singola e di sicuro effetto. Nonostante suoni esotico o impronunciabile fuori dalla Sardegna, Tziarùa è un’esclamazione che, per capirci, è molto simile al “mortacci tua” dei romani. Come nome è risultato efficace perché abbiamo immediatamente attirato l’attenzione della gente, il problema si è posto solo in un secondo momento, quando ci siamo proposti fuori dalla Sardegna. Ma poi ci siamo detti “Se esistono marchi con nomi imbrobabili come Napapijri possiamo tentarcela pure noi”.

    Da dove arriva la passione per la cultura vintage e pop?

    Quella per la pop art arriva da molto lontano. Anche se molti ci associano istintivamente a Roy Lichtenstein, per via dell’utilizzo dei fumetti, l’esponente della pop art che più amo è Richard Hamilton (un inglese che negli anni 50 era avanti di almeno 20 anni) di cui ammiro in particolare la capacità di giustapporre materiali di provenienza eterogenea che ricombinati assumono nuovi significati. E poi, va da sé, ammiro la logica “warholiana“ dell’arte legata alla produzione di massa.  Diciamo che la produzione seriale di t-shirt si prestava alla perfezione. La t-shirt è un capo d’abbigliamento assolutamente affascinante perché è polivalente: ha una funzione pratica ma la scegliamo anche per il messaggio che veicola tramite la grafica o il lettering. Ecco, questo mi interessa molto: non succede con nessun altro capo d’abbigliamento. La t-shirt per me è come un cartellone da indossare.
    L’aspetto vintage (a differenza di quello pop) è invece frutto di un calcolo: ci siamo resi conto da quasi subito che non era frequentissimo l’utilizzo di estetiche vicine alle pinup e a un certo tipo di rétro. Oggi è più sdoganato, ma ti assicuro che in Sardegna era una novità assoluta per il nostro primo pubblico. Questo ci ha permesso di “entrare” nei negozi di vintage e da lì allargarci a negozi di abbigliamento che selezioniamo sempre con grande attenzione.


    Il nome Tziarùa e alcune delle frasi presenti sulle vostre t-shirt raccontano il forte legame con la Sardegna. Come vi è venuta l’idea di abbinare la vostra terra all’iconografia pop?

    La primissima maglia che abbiamo lanciato è stata un inaspettato successo. Univa un fumetto anni 60 e una esclamazione dialettale tipica del sud della Sardegna: “T’arrori” (traducibile come “Che paura”, ma fa ridere perché è un’esclamazione usata dagli anziani e vederla pronunciata da una bionda in un fumetto americano crea uno strano effetto).  Da lì abbiamo scelto di progettarne altre seguendo la stessa logica e devo dire che la risposta continua ad essere positiva. Alla fine del 2013 (il nostro “anno zero”), rendendoci conto che non ci bastava più il passaparola, ci siamo messi a fare le cose sul serio e allora abbiamo deciso di puntare ai negozi di abbigliamento oltre a pensare di lavorare a un sito nostro. Oggi abbiamo delle vere e proprie “linee”, ad esempio oltre a quelle col fumetto abbiamo tutta una  serie (noi la chiamiamo scherzosamente la Pro Loco) in cui riproponiamo pubblicità di luoghi di vacanza (di solito inspirate a immagini vintage di luoghi come la California o le Hawaii) su cui interveniamo un minimo per trasformarle in famose località sarde.

    Quanti altri modelli avete in catalogo? Quali tessuti e tecniche di stampa usate?

    Vuoi ridere? I modelli li ho dovuti contare! Nel sito ne abbiamo circa quaranta, ma a livello locale ce ne sono almeno altri venti. Ti spiego: l’altra nostra grande passione è la birra artigianale (in particolare italiana) e del sistema dei birrifici artigianali abbiamo deciso di seguire la logica del “one shot”. Ci sono maglie che prepariamo in numero limitatissimo specificando che sono una produzione limitata. Di solito il nostro pubblico è affascinato dall’idea di avere una t-shirt prodotta in serie ma in piccole quantità.
    Dal punto di vista della tecnica di stampa premetto che la produzione è stata esternalizzata. Abbiamo preferito affidarci a chi poteva permettersi le stampanti più serie sul mercato. Diciamo che dopo essere passati attraverso flex e serigrafia siamo ormai da un pezzo fedelissimi alla Kornit del nostro fornitore, quindi parliamo di stampa digitale. Sono molto interessato anche alla serigrafia, mi affascina l’aspetto artigianale, il poter “toccare con mano” ciò che si sta producendo ma c’è un limite: le nostre maglie hanno grafiche che utilizzano troppi colori per rendere bene con una stampa serigrafica. O almeno così è andata fino ad oggi. Ma non escludo nulla per il futuro. Diciamo che il digitale fino ad oggi ci ha soddisfatto in pieno.

    Sotto il logo Tziarùa compare la frase “La famiglia prima di tutto”. Perché un messaggio così specifico e, allo stesso tempo, insolito per un brand di t-shirt?

    Ci sono due ragioni, una pratica e una romanzesca. Quella pratica è che Tziarùa nasce da una mia idea ma mi sono reso conto da subito che sarebbe stato impossibile fare tutto da solo quindi, come spesso succede in questi casi, ho coinvolto altre tre persone a me vicine (la mia compagna, sua sorella e sua cugina) e, insomma, siamo un po’ come i Beach Boys: tutto in famiglia. La ragione romanzesca invece è che il claim (che per i cagliaritani è un gioco di parole) è stato partorito da un amico mentre si scherzava insieme. Mi ha detto “Puoi usarlo, ma un giorno quando vi faranno le interviste sulle vostre origini ricordati di dire che è opera mia”. Ecco. Ora lo dico: “La famiglia prima di tutto” è opera di Pippo Bruni!


    Quanto il legame con il vostro territorio è un’opportunità e quanto un limite dal punto di vista della produzione e del linguaggio?

    Se consideriamo le grafiche con riferimenti molto specifici a Cagliari o alla Sardegna è inevitabile che il successo sia circoscritto. Però per fortuna abbiamo grafiche che funzionano anche al di là del Tirreno. La nostra partecipazione al Miteeca Festival ha comportato una selezione delle maglie da esporre e ci siamo resi conto che la linea sulla birra, ad esempio, funziona in tutta Italia.

    E per finire la solita domanda difficile. Qual è la vostra maglietta nel cassetto?

    Il nostro è un cassetto che apriamo e richiudiamo di continuo, in pratica la nostra maglia nel cassetto è l’ultima che abbiamo creato, ma poi ne arriva un’altra e un’altra ancora. Insomma diciamo che il nostro è un cassetto che non conosce la naftalina…

    Grazie Ivan per la disponibilità e in bocca al lupo per le prossime collezioni.

    Grazie a te Claudio, anche da parte di Simona, Luisa e Barbara.

    Link utili:
    Tziarùa: Sito, pagina Facebook, Instagram

     

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