• Il murales di Lanzarote e una maglietta che sembra bianca

    by  • 16 Agosto 2013 • Arte, Bianche, Società e costume • 0 Comments

    Il murales è stato realizzato nel comune di Arrecife dal collettivo CNFSN+ in occasione della Biennale Off 2009. La maglietta che si vede sul muro, in realtà, non è del tutto bianca ma, come la parete e il corpo del ragazzino, è essa stessa un contenitore d’identità.

    Fotografie non troppo lontane nel tempo che racchiudono un piccolo segreto, una semplice risposta colorata a una domanda, al contrario, molto più recente.
    Rivedo queste immagini abbastanza casualmente, dopo aver letto il saggio The Faith of Graffiti di Norman Mailer e Jon Naar, storico testo dei primi anni Settanta dedicato al mondo dei graffiti. Il libro me lo ha suggerito Marco Mottolese, imprenditore e grande appassionato di t-shirt, dopo uno scambio di opinioni su una possibile relazione tra magliette e graffiti: un collegamento non soltanto esteriore ma legato più nel dettaglio al senso stesso di un rapporto più profondo. Una questione simile, peraltro, già affrontata per la t-shirt e il tatuaggio.
    A giocare con le parole, oggi, sarebbe facile e allo stesso tempo divertente. Basterebbe scrivere della vernice che si lega al cemento e alle carrozzerie, dell’inchiostro che bagna il cotone, o di quello che riposa dentro la nostra pelle: ma non è solo questo.
    Forse dietro questi tre universi c’è la voglia di esserci, di parlare e raccontare qualcosa di sé. È una richiesta di identità espressa molto bene nel testo di Mailer e nelle foto dei giovani writers e dei loro “nomi” o tags, scattate da Naar, ma la si può vedere quotidianamente per le strade, nei messaggi affidati alle tante t-shirt e nella moda sempre più esibizionista dei tatuaggi.
    In questa fotografia, queste tre forme espressive convivono e dialogano perfettamente: c’è un murales e c’è l’immagine di un ragazzino tatuato che già da soli sarebbero sufficienti per descrivere il carattere “alternativo” degli autori e della manifestazione in corso; e infine c’è la maglietta bianca che se la si guarda bene è piena di segni e tags e che, grazie a questi, da semplice indumento si trasforma idealmente in supporto di “senso” proprio come fa il muro ospitando il murales, in contenitore d’identità come facevano i muri di New York con i primi “nomi”, e poi torna ad essere un classico muro di cemento grigio come se la vernice bianca non fosse mai esistita.

    Il murales visto da lontano con Google Maps ha il volto del ragazzino sfocato come se fosse una persona vera. Strane sovrapposizioni di identità tra realtà, rappresentazione e percezione. 🙂
    (Clicca sull’immagine per ingrandirla)

     

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